È bufera sui contenuti dei protocolli di autovalutazione compilati da alcuni istituti scolastici superiori italiani, altrimenti noti come RAV, e pubblicati nella sezione “Scuola in Chiaro” del sito del Ministero dell’Istruzione.
Stavolta il problema non sono le infrastrutture o la qualità della didattica, bensì le parole – e i concetti che esse veicolano – utilizzate da alcuni licei per descrivere le proprie peculiarità, i propri punti di forza, i motivi per cui studenti del passato hanno scelto tale istituto o le ragioni per cui dovrebbero farlo quelli futuri.
La scuola è risaputamente il luogo della seconda socializzazione (dopo quella familiare) e della prima istruzione, e dovrebbe costituirsi per definizione anche come luogo di prima, vera, comunità paritaria in cui il bambino di oggi e cittadino del futuro impari le basi dell’uguaglianza e della meritocrazia, indipendentemente dalla classe sociale a cui appartiene.
L’Ennio Quirino Visconti, classico di Roma, ritiene invece motivo di fregio il fatto che le famiglie che lo scelgono “sono di estrazione medio-alto borghese”, e che i propri studenti (o meglio “tutti, tranne un paio”) “sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile“, mentre la percentuale di alunni svantaggiati “per condizione familiare (i poveri NDR) è pressoché inesistente”.
I figli dei custodi sono un pericolo per la convivenza
Ancora un classico, stavolta il D’Oria di Genova, asserisce che il “background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia” è reso possibile grazie al “contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale ( come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate)”.
E se anche il celebre Parini di Milano ci tiene a sottolineare come la “provenienza sociale più elevata rispetto alla media” dei propri studenti sia da considerarsi una “situazione favorevole” per “contribuire a elevare il livello culturale dei suoi allievi”, il fondo lo tocca il classico parificato Falconieri di Roma Parioli.
Per il Falconieri una vera e propria criticità degli anni passati sembra esser stata quella di aver ammesso “figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere“. Infatti, “data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”.
Autovalutazioni che difficilmente potevano dare il sentore di progresso civile di un Paese già a fine Ottocento. Figuriamoci oggi.