Pochi giorni fa ricorreva il 72esimo anniversario del processo di Norimberga, che mise i gerarchi nazisti alla sbarra per i crimini perpetrati durante la Seconda Guerra Mondiale. Di tutti i condannati a morte, solo uno sfuggì alla forca, quell’Hermann Göring numero due del Reich che si tolse la vita nella sua cella a poche ore dall’impiccagione ingerendo una dose letale di cianuro.
Da allora, dicevamo, si sono accavallati 72 anni e una serie di conflitti minori, i quali però hanno portato terrore e distruzione. Uno dei più sanguinosi è stato quello dell’ex Jugoslavia che dal 1991 al 2001 ha causato la morte di non meno di 140.000 persone.
Praljak: “non sono un criminale”
Fra i condannati per quella serie di conflitti, sei gerarchi militari e politici che furono considerati esecutori materiali delle atrocità della guerra: Jadranko Prlic, Bruno Stojic, Slobodan Praljak, Milivoj Petkovic, Valentin Coric e Berislav Pušic, per i quali sono state sentenziate condanne che vanno da un minimo di 10 a un massimo di 25 anni.
E venti anni sono toccati anche a Slobodan Praljak, ex intermediario fra Croazia e Bosnia negli anni più duri del conflitto (1991-1994) e accusato di essere il principale artefice della distruzione dello Stari Most, l’iconico e plurisecolare Ponte Vecchio situato nella città di Mostar, punto di riferimento per la comunità musulmana e simbolo della convivenza fra le diverse etnie.
E come Göring, Praljak ha atteso il verdetto del giudice del tribunale dell’Aja prima di commettere l’estremo gesto, ingerendo da una bottiglietta una dose di un non meglio precisato veleno. Il tutto in diretta Tv.
Le sue ultime parole sono state “non sono un criminale“, e l’udienza è continuata per qualche istante finché l’avvocato difensore dell’ex militare è intervenuto facendo presente che qualcosa non andava.
Il giudice ha immediatamente interrotto la sessione, ma per Praljak non c’è stato nulla da fare. È morto a 72 anni, esattamente 72 anni dopo il medesimo gesto di Göring.